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The Show Must Go On

By Mara Palermo

Bronx Journal Staff Writer

Originally published Spring 2008

Niente deve essere cambiato negli ultimi trenta anni se in Italia si continua a morire per una banale partita di calcio. Tutto il calcio italiano dalla Seria A ai dilettanti continua a macchiarsi del sangue di vittime innocenti. Circa un mese fa, a Luzzi, piccolo centro del Cosentino, Ermanno Licersi, dirigente della Sammarinese, squadra che milita nel campionato di terza categoria, viene ucciso a calci e pugni nel tentativo di fermare una rissa. I media italiani poco si curano dell’episodio fino al 2 febbraio quando in occasione del derby Catania-Palermo, viene ucciso l’ispettore di polizia Filippo Raciti. Questa volta si tratta di una partita di Serie A e le immagini da guerriglia urbana fanno il giro del mondo gettando ancora una volta discredito sul calcio italiano. Scene da incubo mostrano gruppi di tifosi ben organizzati scagliarsi contro le forse di polizia incapaci di sedare la rivolta. Raciti viene ferito mentre attorno allo stadio Massimino di Catania infuria la battaglia.

Trent’anni passati invano con l’oltraggio continuo sui campi di calcio. Leggi mai applicate, stadi inadeguati, ultrà troppo potenti e coalizzati contro la Polizia, eletta come primo nemico. Il derby con il Palermo era stato anticipato al venerdì per non turbare lo svolgimento della festa di Sant’Agata, patrona di Catania. Doveva essere il pontificale di una delle patrone più amate d’Italia, con un percolo portato in processione da devoti vestiti di bianco e circa un milione di persone lungo le vie di Catania. Doveva essere un fine settimana all’insegna della festa e della gioia. Invece c’è stato spazio solo per lo sgomento e la rabbia di un’altra vita persa inutilmente. Al posto della processione Catania ha invece assistito al corteo funebre per quel giovane morto nell’adempimento del proprio dovere. Misticismo e crudeltà, fede e barbarie, preghiera e violenza cieca. C’erano il bene e il male contrapposti a Catania.

Il campionato di serie A si è fermato nonostante i dirigenti di diverse società avessero spinto per continuare a giocare, poiché “the show must go on”. Un commento crudele quello di Antonio Matarrese, Presidente della Lega Calcio di Serie A e B, che mostra un mondo barbaro e violento. Bisognerebbe chiedersi quale spettacolo debba continuare. Lo spettacolo della violenza e delle guerriglie urbane? Lo spettacolo dei cori razzisti e dei morti? Forse questo spettacolo avrebbe bisogno di nuovi attori, registi e palcoscenici. Ma il nostro non è un paese come gli altri. Negli ultimi trenta anni non c’è stata domenica che non abbia registrato scontri tra tifoserie o altri atti di teppismo. Purtroppo la violenza viene spesso tollerata se non addirittura considerata fisiologica.

Calcio violento, terra di nessuno, in cui non vige la legalità. Le immagini di Catania in fiamme hanno, come al solito, gettato discredito sull’Italia, la Sicilia, il nostro calcio. Sociologi incapaci di dare risposte, quando le prime retate, dopo l’omicidio Raciti, hanno confermato che la guerriglia di Catania non era frutto del degrado urbano.

L’agguato era stato ideato da figli di medici, commercianti e poliziotti, quindi da insospettabili.

Italia campione del mondo, nel luglio scorso. Campione del mondo, adesso, con l’ennesimo morto da piangere senza un perchè. Purtroppo il problema è profondo e complicato proprio come l’intera società italiana. Tracciando un parallelo tra il calcio e la società del Bel Paese si osserva subito che questo sport riflette le più grandi miserie Italiane. L’Italia ha molte potenzialità ma anche molti limiti a causa della dilagante corruzione. Il calcio non è da meno. Tutta l’Italia è sul banco degli imputati dopo la morte di un poliziotto a Catania. Il cosiddetto Bel Paese è anche la terra delle peggiori derive, dalle partite truccate al razzismo negli stadi.

Il calcio è diventato un altro modo di fare la guerra. La violenza fuori e dentro gli stadi è ormai un flagello in tutto lo Stivale. Le leggi male applicate, gli stadi vecchi e le tifoserie troppo potenti sono tre fattori che hanno portato il calcio italiano alla situazione attuale.

Molti suggeriscono di copiare le misure antiviolenza attuate con successo in Gran Bretagna patria degli hooligans. Bisognerebbe responsabilizzare i presidenti delle squadre di calcio, quelli che cioè traggono vantaggio da questo sport. Oltremanica la sicurezza è onere e competenza dei club mentre in Italia viene pagata dalla collettività. Poliziotti e carabinieri vengono sottratti ad altri servizi per diventare semplicemente un facile bersaglio durante le partite di calcio. Dall’Inghilterra il calcio nostrano ha sempre evitato di copiare le misure adottate per eliminare la violenza negli stadi e la corruzione.

Invece la prima reazione dello stato è stata quella di far giocare gli incontri a porte chiuse. In questo modo il calcio italiano ha perso l’anima. Vietando l’ingresso negli stadi che non rispettano le norme di sicurezza, lo stato ha dimostrato tutta la sua ipocrisia. Perché fino a ieri si poteva entrare e oggi no? Cambiando le regole all’improvviso, lo stato dimostra di aver colpevolmente sottovalutato il problema. La storia si ripete. Non è certo un caso dato che lo spettacolo debba andare avanti. La morte di Raciti ha generato le stesse parole e gli stessi provvedimenti che avevano seguito altre morti simili. Non è cambiato nulla. Intanto le leggi attuali, pur valide sulla carta, non vengono attuate, o continuano a garantire impunità e trattamenti privilegiati ai tifosi violenti. Intanto, pur essendo in minoranza numerica, gli ultrà ed i presidenti di club, continuano ad imporre le proprie regole. Basta ricordare un recente derby tra Roma e Lazio interrotto su richiesta dei tifosi per capire che tipo di potere si cela dietro il calcio italiano. Infondo le società calcistiche italiane non sono certo famose per la loro alta statura morale. Basti pensare ai recenti scandali che hanno coinvolto diverse società di Seria A. Ma che a 38 anni si debba morire in servizio per garantire la tenuta di un gioco utile a pochi rimane è a dir poco una vergogna.

 

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